A parte la terribile parentesi delle guerre balcaniche degli anni ’90, l’Europa vive sostanzialmente in pace dal 1945 (merito in gran parte di quel processo di integrazione europea che oggi molti vorrebbero affossare). Uno dei risultati è che la guerra, forse inconsciamente, viene percepita come una terribile questione del passato o di aree del mondo che non sono arrivate al nostro livello di civiltà, democrazia e benessere. Un evento che sicuramente non toccherà mai da vicino le nostre esistenze. In questi giorni questa sensazione (o forse questa certezza?) si sta drammaticamente sgretolando.
Non voglio dare nessun contributo insignificante e incompetente al dibattito geopolitico, che sto seguendo nella speranza di qualche opinione che lasci ancora spazio alla speranza. Ma sento il bisogno di condividere un’angoscia e una preoccupazione che sono amplificati dal fatto che nel mirino di questa vicenda c’è l’Ucraina, che per me non è una delle tante nazioni sulla carta geografica. Non è solo una terra che ho visitato circa 20 volte negli ultimi 20 anni. Che conosco e che amo. Nelle sue immense campagne come nei villaggi sperduti dove il tempo sembra si sia fermato al secolo scorso, così come nelle piazze, nelle cattedrali e nei tanti angoli di quella che ormai è una delle città che conosco meglio al mondo, Kiev.
L’Ucraina è soprattutto la sua gente. Conosciuta negli occhi di decine e centinaia di bambini e bambine dei tanti orfanotrofi frequentati in questi anni. Bambini e ragazzi che sono diventati parte integrante della mia vita. Ormai tutti cresciuti, prendendo le strade più disparate che la vita riserva. Strade a volte piene di felicità e realizzazione, a volte più difficoltose e tortuose. Ragazzi e ragazze (anzi, uomini e donne ormai) che fino a qualche giorno fa ci rassicuravano, e che ora iniziano a respirare paura e incertezza. Alcuni di loro si trovano già dentro a un carro armato, e altri si stanno preparando ad imbracciare le armi. In un clima surreale nel quale si mischiano paura, incertezza e nazionalismo.
Il solo pensiero che siano loro, persone conosciute e amate, ad essere coinvolte da questa follia, fa gelare il sangue. E frantuma quella sensazione che la guerra è una realtà relegata al passato o ad altri mondi. No.
Ecco allora emergere un’altra sensazione, quella dell’impotenza.
Davvero non possiamo fare altro che rimanere spettatori passivi di fronte a questa follia?
Davvero tutto il lavoro e l’impegno per la pace di questi anni non è servito a nulla, se ancora nel 2022 prevalgono anche in Europa logiche imperialistiche, di supremazia e di violenza?
Forse proprio quello che sta accadendo ci chiama ad un impegno ancora maggiore, perché davvero l’uomo arrivi un giorno a considerare la guerra come un tabù, e non come la “prosecuzione della politica”.
Quindi l’impegno per costruire un mondo di pace deve aumentare, non sparire nella delusione e disillusione.
Ma nel frattempo paura e angoscia prevalgono. Insieme allo sgomento per il non poter far nulla, se non pregare e far sentire al meraviglioso popolo ucraino, tutta la vicinanza e l’amicizia possibile.
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