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  • Immagine del redattoreRoberto Toninelli

365 giorni di guerra. Una tragica abitudine



Un anno. Dodici mesi. Trecentosessantacinque giorni. Di guerra. Ho provato più volte ad abbozzare alcune righe, dopo mesi senza scrivere nulla. I pensieri sarebbero moltissimi. Considerazioni, racconti, aneddoti, valutazioni e previsioni. Ripenso a questi 12 mesi. E alle emozioni che ci hanno attraversato. Alla paura. Al disorientamento. Al senso di impotenza.

Allo smarrimento di fronte alla consapevolezza che la pace, quella vera, è sempre più lontana. Anche quando si arriverà ad un “cessate il fuoco”, per ricostruire una vera pace (fatta di giustizia, solidarietà, libertà e verità, come ricorda la Pacem in Terris) serviranno decenni. E anche nella nostra realtà ci sarà da lavorare perché democrazia, diritti e libertà possano continuare ad essere fondamento delle nostre società. Se vogliamo una pace reale che non è “data” per sempre. Ma va costruita. Proprio per questo dobbiamo impegnarci in modo ancora più intenso per essere costruttori e testimoni di pace.


È stato un anno lungo. Folle. Nel quale lo stato d’animo dei primi tempi ha lasciato piano piano il posto ad una sorta di assuefazione. Nelle prime settimane di guerra anche la regione di Chernigiv è stata occupata e massacrata. Sono stati giorni pieni di sgomento, di disorientamento, di dolore. Ma soprattutto di paura. Paura per i ragazzi che rischiavano la vita in ogni momento. In alcuni casi per salvarla ad altre persone.

Inutile negare che poco alla volta ci si è abituati all’orrore. Anche i ragazzi in Ucraina stanno tentando di tornare ad una vita normale. Molti hanno rivisto progetti di vita e abitudini, anche (ri)scoprendo le cose più importanti della vita. Alcuni si sono sposati e stanno facendo figli. Forse è anche questa una forma di resistenza.

Anche da noi si è tornati alla vita di sempre. Forse non l’abbiamo mai abbandonata in realtà. Per molti questo abituarsi alla guerra e all’orrore ha significato anche dimenticarsi di quello che sta succedendo. Di come siano state stravolte milioni di vite umane e intere comunità. Questo ha portato con sé anche una certa stanchezza e una “diminuzione” dell’enorme carica di solidarietà che si è respirata nelle prime settimane di guerra. La scorsa primavera bastavano pochi messaggi in qualche chat per raccogliere grandi somme di denaro e tonnellate di aiuti. Ora la risposta è decisamente cambiata. A dispetto di una domanda di aiuti che continua ad arrivarci dall’Ucraina.


Ma questa normalità è finta, perché porta con sé un costante “sottofondo” di paura e preoccupazione. Perché per molti di noi le persone che stanno soffrendo e rischiando la vita, hanno nomi e volti. Sono ragazzi e ragazze che nella loro vita hanno già faticato molto, e che ora si trovano davanti altre prove enormi.



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