La fede e il Vangelo possono ancora dire qualcosa agli adulti di oggi? Le chiese sempre più vuote (non solo di giovani ma anche di adulti) sono il segno di uno scollamento irreversibile tra la Chiesa e “il mondo” o è possibile ripensare ad una pastorale che racconti la gioia del Vangelo?
Sono alcune delle domande che si pone don Armando Matteo nel libro “Convertire Peter Pan. Il destino nella fede nella società dell’eterna giovinezza” (edizioni Ancora), che consiglio non solo agli amici sacerdoti ma anche a quanti vogliono una riflessione libera e stimolante sulle fatiche della Chiesa di oggi. Ma pure sulla nostra generazione di adulti.
L’autore parte dal fatto che in quest’epoca caratterizzata dal Covid, molti cristiani sono rimasti spaesati dal vedere le “chiese vuote” rispetto alla situazione precedente al 2020. Ma in realtà poco è cambiato con il Covid; la fascia d’età che ha diminuito la propria presenza è quella degli anziani. I grandi assenti sono gli adulti, ma non da ora. Ed è vero; conosciamo la grande fatica delle nostre parrocchie (e sempre di più anche degli oratori) di coinvolgere adolescenti e giovani. Ma chi manca all'appello sono gli adulti. Mi trovo sempre più spesso a guardarmi intorno in chiesa e ad essere l’unico (o quasi) sotto i 50-60 anni. Se si escludono i bambini e qualche ragazzo, che in ogni caso spariscono completamente in estate o quando la Messa non è abbinata al catechismo.
Ma qui il ragionamento è costretto a farsi più ampio. La questione non è solo di quante persone vanno a Messa, ma del fatto che la fede è una dimensione sempre più estranea alla vita delle persone. Forse è questo il vero campanello d’allarme, più ancora dei banchi vuoti nelle nostre chiese. In più parti del libro viene smontata la categoria spesso usata nelle varie analisi sociologiche e pastorali dei “credenti non praticanti”; mantenerla ancora valida dispensa dall’assumere un rinnovato atteggiamento missionario.
L’analisi di don Armando Matteo però va oltre l’aspetto religioso, e coglie nel segno. Perché “la vera profonda crisi di oggi è una crisi di adultità”. La generazione dei 30-40-50enni (cioè la mia) è definita quella dei “Peter Pan”, che vivono nel mito dell’eterna giovinezza, con il sentimento di libertà e unicità che guida tutto. Con un approccio alquanto problematico con la responsabilità, che va delegata agli altri ma non assunta, soprattutto nei confronti della comunità. Con una vera e propria forma di “egolatria, cioè di culto del proprio io, che ci chiude in noi stessi e ci rende ciechi agli altri e al mondo”.
Don Armando si chiede quindi da dove ripartire per un “cammino di riavvicinamento tra l’universo della fede cattolica e l’universo degli adulti contemporanei”. Come primo passo individua il definire compiutamente il profilo di questi adulti che mancano, accettando poi che la necessaria conversione della mentalità pastorale ha la portata di un’autentica rivoluzione copernicana.
Il sacerdote insiste molto sulla necessità che la Chiesa riconosca questa assenza di relazioni significative con il mondo adulto, e la fine della “cristianità” (senza risentimento e in modo sereno) per accettare la necessità di un nuovo paradigma pastorale. Bisogna “far pace con il mondo che è già cambiato” perché oggi essere adulti significa accedere a una sorta di prateria dai confini immensi, in cui sembra che nulla sia precluso. Prendere atto che l’essere cristiani non è più (anzi…) un elemento fondante dell’essere adulti.
Per questo propone un cambio di paradigma nella pastorale con gli adulti. Non più la categoria della “consolazione” (in una vita piena di limiti, sofferenze e privazioni, con una fede basata sui dogmi, sui precetti e sul peccato) ma quella della “mitezza”. Per “andare incontro a quella domanda di senso circa la propria libertà e unicità che l’adulto contemporaneo vive in modo bruciante e che per il momento pare aver trovato solo nel mito della giovinezza una convincente quanto pericolosa risposta”.
È importante partire dalla consapevolezza che le “chiese vuote” non significano che le persone non abbiano bisogno di spiritualità. Di riflettere sul senso della propria vita, sui temi della trascendenza, della fede. Di trovare momenti e spazi per trovare sé stessi e incontrare l’Altro. E in questo Cristo, con il suo sguardo d’amore, di mitezza, di libertà, può essere una risposta che può aiutare a vivere la vita in pienezza. Perché il mite è “colui che non vuole mai essere senza l’altro”, un anticipatore di futuro perché “vede la potenza del bene oltre la prepotenza del male”. Per avere “potere sopra il proprio potere, libertà sopra la propria libertà”. Cioè per essere adulto, vivendo la propria libertà nel farsi “samaritano” per l’altro.
Lo scollamento è soprattutto tra questo “bisogno” di spiritualità e di senso delle persone, e la risposta che viene offerta da parte della Chiesa, dal punto di vista pastorale e liturgico.
Serve molto coraggio da parte della Chiesa. Eppure il momento storico è favorevole (soprattutto con Papa Francesco, ma non solo). Don Armando fa anche alcune interessanti proposte che possono essere attuate già da subito nelle parrocchie. Ma sarebbero un primo possibile passo di un necessario rinnovamento, essenziale per realizzare il “sogno di una Chiesa capace di parole per gli adulti e le adulte del nostro tempo”. Sperando che davvero nelle comunità così come in chi ha responsabilità, ci sia il coraggio di mettersi in discussione e di cambiare, perché in questo caso restare fermi (magari in un – insensato – rimpianto del passato) significa condannare la Chiesa a venire meno al mandato di Gesù Cristo: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mt 16, 15).
Un’ultima considerazione. La riflessione è tutta centrata sugli adulti e si parla pochissimo di adolescenti e giovani. Ma è come se fossero sempre sullo sfondo del ragionamento. Perché “se la Chiesa non trova una parola per gli adulti e per le adulte, non ne avrà mai una a disposizione per i giovani e per le giovani”.
E il percorso che è prefigurato come urgente e impellente per gli adulti, lo è ancora di più per i più giovani, la cui voglia di spiritualità, di ricerca di un senso alla vita, e di impegno generoso per i più poveri e la comunità non riesce a trovare una risposta credibile e accattivante dentro la Chiesa.
Un percorso impegnativo ma affascinante e stimolante. E allora... buon cammino!
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